L'Institute National d'Histoire de l'Art (INHA) in Paris, on October 30 hosted "Art et écosophie". Here are some thoughts by the Italian art historian Silvia Bordini, one of the symposium presenters.
Breve sintesi del lavoro su “arte e decrescita?”, con l’intenzione di continuare.
“Per la prima volta si è posto il problema di un’arte che non adorna o consola, ma positivamente concorre ad elevare il tenore di vita degli uomini ….. che non chiede essere interpretata, rivissuta, capita, ma di essere soltanto utilizzata; che infine si propone di concorrere a determinare negli uomini un’attitudine attiva, e non più contemplativa o ammirativa, nei confronti della realtà.”
Giulio Carlo Argan,Salvezza e caduta dell’arte moderna, 1964, p. 15
La questione su “arte e decrescita ?” mi è venuta in mente nell’ambito di una ricerca sui modi e i dispositivi con cui gli artisti contemporanei si accostano al paesaggio e alla natura. Infatti, da qualche decennio, nell’immagine e nell’identità del paesaggio è entrata a far parte la tematica ambientalista che oggi preoccupa, spesso senza una vera coerenza, la nostra società postmoderna.
Vari artisti – spesso gli stessi che espongono in varie mostre in città diverse - propongono una visione dei danni apportati dall’uomo alla natura, mostrando e raccontando l’inquinamento, il surriscaldamento, il saccheggio delle risorse, la deforestazione e altre catastrofi. Alcuni artisti fanno riferimento al degrado ambientale indirettamente, attraverso metafore e simboli, altri con una denuncia più esplicita e dettagliata, offrendo una documentazione specifica sulla drammatica
deriva dell’ambiente naturale.
Il comune denominatore, supportato anche da contributi teorici, sta nell’intento di sollecitare una attenzione critica sul rapporto uomo-natura; da queste opere non emergono, come è ovvio, dei suggerimenti e tanto meno delle soluzioni, ma piuttosto delle proposte di analisi, delle sollecitazioni ad attivare una presa di coscienza dei problemi e a mettere in discussioni comportamenti consumistici e dissipatori. Gli artisti lavorano con una vasta gamma di metodi, materiali e procedimenti, che vanno dai disegni e dalla pittura alla fotografia, al video e alle elaborazioni digitali, passando anche attraverso l’impiego di materiali naturali ed effimeri, come le piante, oppure di sostanze e oggetti riciclati, oppure attraverso installazioni di orti e piccoli vivai, oppure, a volte, sperimentando forme di energia alternativa all’interno di gallerie e musei.
Uno degli aspetti più interessanti di questa tendenza sta non soltanto negli apporti di singoli artisti, isolatamente, ma anche nella loro aggregazione, sempre più frequente, nel contesto collettivo di mostre, a livello internazionale: oltre che, come è ben noto, nel magma ampio e composito della comunicazione internet.
Si tratta dunque di un settore dell’arte molto vivace e impegnato, non esente dalle contraddizioni e dalle strumentalizzazioni dovute all’invasività del sistema dell’arte che fa sì che qualsiasi tipo (o quasi?) di denuncia o di trasgressione (parola usatissima e ormai priva di mordente) sia rapidamente assimilato e consumato, svuotato di significato, ridotto a stereotipo commerciale.
L’arte, tuttavia, mi pare sia ancora una zona di possibile libertà e soprattutto di implicita azione critica. Penso all’arte visiva, in particolare, e alla sua capacità di stare sempre sul filo delle trasformazioni dei linguaggi (dalla pittura al digitale, ecc.), riuscendo sempre a inventare qualcosa, a dire, a far circolare delle idee, e – importante – a far pensare e a far immaginare. Non tanto il “nuovo” (altro codice usurato) quanto piuttosto il diverso, il differente.
L’arte ha per sua natura la possibilità di porsi e porre degli interrogativi e di spingere a guardare pensare oltre le apparenza immediate. Può esercitare un’azione attraverso gli occhi e la mente proprio perché attira l’attenzione e richiede attenzione e interpretazione; perché sempre guardando un’opera d’arte (ma anche Giotto o Raffaello o Tiziano o Poussin o Watteau….. non solo le complessità più evidenti dell’arte contemporanea), sempre quando si osserva un’opera d’arte non si può rimanere neutri; anzi, si è spinti a interrogarsi, ad andare oltre, appunto; e questo induce ad avere una sensibilità e al limite un’attività critica, aiuta a porsi dei problemi, a chiedersi perché. E questo vale ovviamente anche per la poesia, le letteratura ecc., ma mi limito a parlare di un campo che conosco di più.
L’arte può fornire tanti diversi modi per guardare raccontare descrivere suggerire interpretare – con le parole le immagini i suoni. Per questo penso che possa avere un ruolo nella percezione del mondo – stare nel mondo e del mondo accogliere istanze e contraddizioni (una volta si diceva società, oggi si parla di mondo e di mondo dell’arte, probabilmente per l’immensa espansione mediale dell’informazione, comunicazione e relazioni).
Penso inoltre a un’arte che non abbia comunque solo un ruolo di denuncia ma anche di proposta.
(Per adoperare parole un po’ ridondanti, estetica ed etica insieme….)
Mentre riflettevo su questi problemi mi sono imbattuta nella “decrescita”. La decrescita è una teoria economica (Serge Latouche) che tenta di lanciare una critica radicale allo sviluppo e di definire gli elementi di un progetto alternativo, una logica diversa: non una crescita negativa ma un riequilibrio tra produzione e consumo.... Ho pensato alla decrescita come a un tentativo positivo di contrastare i disastri ambientali che vediamo diventare ogni giorno più minacciosi, e irreversibili.
Ma quello che a me interessa in modo poco scientifico e al di là degli specifici elementi economici, è l'aspetto culturale e creativo (non trovo altra parola) che è sotteso chiaramente dall’idea di decrescita: l'appello a inventare e realizzare cambiamenti di abitudini, mentalità, comportamenti, sia individuali sia collettivi... (cfr Guattari). E allora ho pensato che l'arte potrebbe entrarci, come dispositivo di analisi e di comunicazione, di sensibilizzazione e di denuncia nei confronti della crescita che domina la nostra società: l’aumento forzato della produzione, lo sfruttamento delle risorse naturali, gli sprechi, l’inquinamento, il consumo, l’appiattimento culturale.
Per rendersi conto, inoltre, dei meccanismi del potere in cui anche l’arte (e in generale la cultura) è implicata, e “inquinata” , e poterli evitare e contrastare nei limiti del possibile.
Anche l’arte infatti ha bisogno di decrescita; se le sue modalità di produzione sono ancora legate alla scelta soggettiva dell’artista, le modalità di valutazione, diffusione e fruizione sono all’interno
della logica del mercato e del consumo, regolate come una operazione finanziaria nell’ambito del dispositivo gallerie–critico-collezionista. In modo analogo, con varie diversità quantitative, funziona anche l’editoria, i concorsi, i premi, le recensioni ecc. che regolano la letteratura, la poesia, la saggistica, l’industria cinematografica, la televisione….
Dunque ho pensato ad alcune semplici domande e le ho inviate a un gruppo di amici artisti, un gruppo eterogeneo, di persone molto diverse:
- Cosa pensi della possibilità di un'arte che sia in relazione con il corrente concetto di
"decrescita"?
- Cioè: si possono estendere al campo artistico – e al suo sistema – i concetti critici, le analisi
della realtà e gli intenti di cambiamento propri della decrescita?
- Può l’arte, cioè gli artisti, le opere, la comunicazione dell’arte dare un contributo a far capire e a diffondere cosa significa decrescita? E se sì, come?
- Si possono pensare e realizzare opere che significhino esteticamente decrescita?
Gli artisti li ho “scelti” semplicemente perché li conosco, sono amici, persone che incontro di tanto in tanto e con cui parlo: non solo artisti visivi ma anche scrittori, poeti, saggisti, musicisti, anche qualcuno che aveva studiato con me. In questo senso questa ricerca mi coinvolge un po’ anche a livello personale.
La maggioranza delle risposte sono venute comunque dagli artisti, che sono stati a volte rapidissimi, mentre gli scrittori (mettiamoli tutti insieme così) hanno manifestato la tendenza a pensarci e ripensarci, più prudenti forse, o meno convinti.
Gli artisti in molti casi mi hanno mandato delle immagini di opere già fatte in precedenza.
Tendono a ritrovare, forse a scoprire nei loro lavori degli elementi di decrescita. Spesso parlano delle proprie esperienze (anche collettive, con gli studenti e con altri artisti), delle proprie aspirazioni, di pezzi di vita; come se il loro modo di pensare e fare arte fosse già in controtendenza e come se le mie domande fornissero una chiave di lettura per capire meglio o mettere a fuoco con maggiore nitidezza. Insomma molti collegano all’idea di decrescita le proprie personali e inascoltate o addirittura inconsapevoli utopie. Come se trovassero in questa denominazione – decrescita – un luogo in cui parlare e riconoscersi, aperto, e opposto agli stereotipi più comuni.
Nelle risposte si possono individuare alcuni elementi ricorrenti, che qui riassumo brevemente.
Molte delle immagini di opere che mi sono pervenute si pongono sotto il segno della semplicità, della purezza, quasi del primordiale. La contrapposizione di processi di rarefazione ai processi di crescita e di accumulazione: dal tanto al poco, dal pesante al leggero, dal ridondante all’essenziale, dalla velocità alla lentezza, dal rumore al silenzio.
Alcune opere hanno una dimensione territoriale, si proiettano sulla terra e utilizzano elementi della natura, del tempo e dello spazio.
Rari sono i lavori di riciclaggio e rare anche le rivendicazioni dirette di un impegno in senso tradizionale (nessuno ha tirato dentro ideologie e simili….): alcune banali, altre decisamente controcorrente.
I procedimenti utilizzati o indicati dagli artisti che mi hanno risposto sono la fotografia, il video, le installazioni, i dispositivi interattivi, il cinema e la poesia, le azioni-evento.
Una tendenza abbastanza comune nelle risposte di scrittori e saggisti è stata il riferimento alla storia dell’arte del Novecento e, al suo interno, l’indicazione di premesse e tracce – concettuali, ideologiche, formali - di decrescita: sono stati citati Debord e i Situazionisti, Beuys e Kiefer; qualche accenno più generico alle avanguardie storiche e agli anni sessanta. Tra i testi letterari Malevich e Hesse. (Strano che nessuno abbia citato Calvino).
Abbastanza diffusa l’idea di decrescita come opposizione agli sprechi e ai gigantismi degli apparati espositivi.
Ci sono stata anche voci dubbiose e critiche: è stato denunciato in particolare il pericolo di proporre un ennesimo –ismo artistico, un codice rigido, ricorrendo al concetto di decrescita. Altri considerano irrealizzabile l’idea di decrescita, secondo me riferendola solo al contenuto
strettamente economico – d’altronde io non avevo dato nessuna indicazione su cosa intendessi per “decrescita”.
Ho pensato e ho proposto di utilizzare la parola decrescite (décroissances), al plurale, per dare un senso più stemperato e nello stesso tempo più ampio e problematico.
In precedenza avevo fatto una ricerca sulle iniziative del tipo “arte e decrescita”; ho trovato una serie di esperienze, gruppi e manifestazioni – nicchie, chissà quante ce ne sono – vivaci, impegnate, interessanti e anche divertenti, ma scollegate tra loro. Hanno in genere caratteristiche di improvvisazione e di lavoro collettivo che da una parte esprimono energia e vitalità, bisogni e desideri, dall’altra li collocano in una dimensione spontaneista, a volte un po’ ingenua…. Alcune prese di posizione sono comunque molto nette e hanno il tono di manifesti programmatici.
Il clima di queste manifestazioni arte-decrescita è dunque dispersivo, amatoriale …. (come coordinarle e potenziarle?), anche se penso (cfr Castelvelturno), che fare le cose con diletto e per diletto sia un modo di porsi che va apprezzato e che va sdoganato dall’idea che dilettante debba significare “pittore della domenica”, privo di rigore e di contenuti. E comunque non sono la sola a pensare che la differenza tra pratiche amatoriali e pratiche artistiche possa essere piuttosto sottile, almeno in certe circostanze (cfr arte-vita….).
Si può pensare che essere un artista dilettante vuol dire essere un artista libero? Anche se è vero che non si è artisti se non si ha una dimensione sociale, una visibilità che solo i circuiti tradizionali possono garantire. Il mercato esiste e domina, è utopico pensare di poterne fare a meno, ma si può cercare di inventare qualcosa di diverso, e anche di utilizzarlo per qualcosa di diverso.
Comunque ho – pare - la possibilità di sollecitare una riflessione su questi temi nel campo di attività in cui mi sono sempre mossa. Poi sono gli artisti gli attori, con la loro capacità di dialogare con gli osservatori, un dialogo complicato e anche contraddittorio, ma forse proprio per questo utile, significativo. Il dubbio, il cercare.
Silvia Bordini